Foto di Manuela Fabbri

venerdì 1 agosto 2008

Incontri d'estate

Nell’afa del tramonto affocato, col sole che affondava, arancia deforme, nel mare lattiginoso, lo vide. Se ne stava appoggiato alla balaustra, come un ritratto nello studio di un antico fotografo, a fargli da sfondo il paesaggio esotico dipinto minuziosamente. Lei pensò ma questo è il protagonista di un racconto di Henry James - Il carteggio Aspen? - o di Edith Warton, il cacciatore di dote che scende dalla sua carrozza a Grammercy Square, nella New York di fine Ottocento… Lui se ne stava lì, impeccabile e virginale, neppure una stilla di sudore sul volto chiaro, immacolato, la donna lo contemplava, percorrendone con uno sguardo incredulo l’intera figura, dai capelli castani appena mossi, appena lunghi sulla nuca,alle scarpe, vere scarpe, non ciabatte balneari, che si indovinavano morbide come un guanto ad avvolgere i lunghi esili piedi d’angelo…

Si chiedeva cosa ci facesse una simile creatura fuori luogo, fuori tempo, nella torrida estate del paese dove, un giorno d’ottobre del 1815, i popolani avevano catturato e le guardie borboniche fucilato - nel cortile del castello che ancora dominava il paesaggio - un gentiluomo molto simile a lui: quel Gioacchino Murat che aveva chiesto un bagno profumato , prima di esporsi con fierezza orgogliosa al tiro del plotone di esecuzione.

Il ragazzo (perché era visibilmente un ragazzo) cavò il cellulare dalla tasca della giacca:spartano, (o calvinista), nel furore calmo implacabile dei quaranta gradi agostani, egli indossava una giacca, sia pure leggera, sfoderata, tra gli ex popolani persecutori di Murat e i turisti/emigranti di ritorno, curiosamente vestiti, quell’estate, con magliette e camicie di colore arancione. (A sostegno della rivoluzione democratica di Kiev? O della protesta dei coloni israeliani evacuati da Sharon? O, piuttosto, semplice marketing omologante nord-sud, est-ovest, scontato, come sempre nella provincia meridionale, con l’eccesso del look colonizzatore?)

Il ragazzo guardava il cellulare silenzioso,senza formare alcun numero: ma, scoprì la donna, guardava anche lei: che, lealmente, continuava a guardarlo.

La sera dopo, era seduto in seconda fila, questa volta in maglietta, per carità non arancione ma blue marine,che gli scandiva il torace d’efebo. (E, vagamente, lei pensò al Ganimede di Mozia, alla sua tunica plissettata, al corpo armonioso nel gesto dell’accoglienza. Ma ancora non aveva capito…). Il ragazzo ora la guardava complice. La guardò e le sorrise per tutto il tempo dell’infinita cerimonia in cui lei rappresentava un componente della giuria del Premio di Pittura, e stava seduta contro la muraglia bollente dell’Istituto Tecnico-Commerciale del paese: una grande scuola sbrecciata a picco sul mare. (Fantasticava, astraendosi dai noiosi elenchi dei premiati con targhe e medaglie, come l’animus loci predicato da James Hillman, lo psicoanalista junghiano di Dallas ammaliato dalle splendide rovine della Magna Grecia, avrebbe senz’altro suggerito di distruggere subito l’edificio senza identità e rifarlo: forse in forma di cavea teatrale sul modello del Teatro Greco di Siracusa, ma aperta all’abbraccio delle onde…E le aule scolastiche librate contro il cielo, e tutte di cristallo …)

Poi, nel flusso delle autorità locali in visita alla Mostra , si ritrovarono vicini, certamente un caso, il ragazzo sorrise e lei l’interpellò: ”Are you an artist?

E Ganimede rispose in buon italiano: ”No, sono un medico tedesco …” Ma subito irruppe nella conversazione appena sbocciata un massiccio ilare Assessore: ”Lei é ...? Complimenti, complimenti, la leggo da anni, ho sempre desiderato di conoscerla, vedo che ha già fatto amicizia col mio amico ...

Senza l’ombra d’un pregiudizio - ma quant’era cambiata la Calabria dai tempi remoti in cui lei era partita in fuga? -l ’Assessore le annunciò: ”Rudolph ed io ci siamo conosciuti chattando …” “Anche mio nipote s’è fidanzato e sfidanzato chattando, ha quindici anni e vive in Olanda”, si sentì rispondere; rendendosi conto, subito dopo, che il suo era un goffo tentativo di mettere a proprio agio due persone, due amanti, che non avevano alcun bisogno di soccorso. (Ma intanto, con civetteria, e quasi a sfida, aveva rivelato al ragazzo - che continuava a sorriderle olimpico - che era già nonna di un quindicenne.). Constatò ancora una volta, sorridendo di se stessa, che continuava a mancarle il gay-laser: come la rimproverava affettuoso Vincent, il suo giovane amico calabrese omosex, in giro per il mondo, tra Washington e Copenhagen, a scalare i primi faticosi gradini d’una carriera di diplomatico.

Intanto, con il ragazzo e la persona che lui chiamava “il collega” - “Sono stato invitato in Calabria dal mio collega”- la donna s’abbandonava consapevole al suo vetero/moralismo anti-chat, ragionando del deserto sentimentale, della paura dell’altro-corporeo, che l’amore virtuale diffonde via Internet tra gli umani… L’Assessore non capiva, sfoggiava un’espressione beota/beata, ma era chiaro che lui era il vincente: lui con la sua mole ottusa che gravava - immaginò la donna, e quell’immagine la sconvolse - sul corpo etereo del cherubino di Ratisbon… (In un lampo le balenò davanti agli occhi l’irsuto marinaio di “Querelle”, e come schiacciava l’altro, e i gemiti di piacere che il violento amante gliene sprigionava…) Oh, sì, il loro, di loro due, era un amore virtuale che s’era visibilmente incarnato, era un amore carnale, e ne distolse il pensiero.

…Ma com’è che erano arrivati a parlare, lei e Rudolph miracolosamente soli, questa volta, del castello di Nympheburg, il castello inventato dalla follia di Ludwig? Come aveva potuto raccontare al giovane medico tedesco un pezzo remoto della sua vita?

Un Carnevale lontano a Monaco di Baviera, in mezzo alla neve e alla festa del Martedì Grasso in Viktualmarkt, e poi, a notte, il ballo degli artisti, i suoi tacchi a spillo che slittavano sulle strade ghiacciate, il giovane professore di Monaco (ma era giovane anche lei,allora) che l’aveva presa in braccio per portarla dalla Wolskwagen fumante nel gelo, fin dentro la sala colorata di cotillons, e come rideva sibillina l’amica perfida, con cui era arrivata da Roma, in fuga da un marito assente, a catturare/raccontare rivoluzioni, in giro per il mondo… (Terzomondo era la parola oscena di quell’epoca finita in carneficine senza tregua.).

Il giorno dopo dovevano andare, in gruppo, a vedere il castello di Nympheburg; ma l’amica, quella a cui lei confidava il dolore degli abbandoni, ripetuti nel tempo d’una implacabile carriera maschile, e l’umiliazione del letto nuziale disertato non nel nome di un’altra, ma della negritudine, aveva cominciato da quel punto a tradirla. Erano ripartite insieme per Roma, ma lei non aveva visto Nympheburg, l’amica si era sbagliata sull’ora dell’appuntamento. E pochi mesi più tardi, sarebbe subentrata in quel letto.

… ”La porterò io a Nympheburg…”, le sorrise Rudolph a mezzanotte, prima di sparire sulla BMW dell’Assessore, verso i fuochi d’artificio a mare, in onore dell’Assunta. Lei pensò Marguerite Yourcenar, colei che si innamorava degli uomini che amavano gli uomini … E poi, nell’abbandono che seguiva puntuale, rialzava fiera l’aristocratica testa, annotando sul suo Journal: ”X mi ha salvata dalla felicità”.

Ma lei non voleva essere salvata, e, per un attimo, aveva davvero creduto che il cherubino dell’estate calabrese avrebbe guarito la sua ferita lontana.

(E poi, chi lo sa, perché non continuare a crederlo? Nella sua vita erano successe tante cose strane …)

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